Questa recensione è apparsa per la prima volta su Leggere Donna, n. 153, 2011.
Cristina Morini, Per amore o per forza - Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, Verona, ombre corte, 2010.
Quattro donnine di carta si tengono per mano sulla
copertina del libro di Morini, un saggio fondamentale per capire come
la precarietà abbia trasformato la vita delle donne e degli uomini e
come da essa si possa iniziare ad uscire. Come sottolinea Judith Ravel
nell'introduzione, la ricchezza del libro sta nella sua "dimensione
d'inchiesta", che permette una visione radicata nella realtà odierna.
Queste donnine di carta sono paradigmatiche in quanto rappresentano una
specie di paradigma della condizione lavorativa attuale, delle donne ma
anche degli uomini. Infatti con il termine stesso di
'femminilizzazione', come ci dice l'autrice, "si intende non solo
l'espansione quantitativa delle donne sul mercato del lavoro, ma anche
la messa in produzione dell'attitudine alla relazione e alla cura,
storicamente più marcate tra le donne, addestrate per secoli nel ruolo
riproduttivo". Per esempio i lavori nei call centre richiedono quella
predisposizione all'altro che culturalmente le donne sono educate a
sviluppare, ma nei call centre non lavorano solo donne. Agli uomini è
quindi richiesto di sviluppare quelle 'qualità' che un tempo venivano
relegate alle donne. Il mercato del lavoro si sta trasformando e si sta
attualizzando quello che Morini definisce come "un processo di
soggettivazione del lavoro".
Lo studio si snoda su cinque capitoli, ognuno dei quali indaga un
aspetto della questione. Nel primo si tratta della precarietà, di come
essa abbia spazzato via ogni punto di riferimento e di come porti il
soggetto a sperimentare un senso costante di transizione. Alla luce di
questo discorso, Morini indaga inoltre i limiti del pensiero della
differenza sessuale italiano, che ha forse impedito ad un certo
femminismo di rapportarsi con questa realtà cangiante delle donne,
"penso (…) che il problema principale, per le donne, sia quello di
osservare i meccanismi del potere, nel tempo e nella storia". E ancora,
"non è forse venuto il tempo che il femminismo si occupi anche
dell'ordine sociale?" La precarietà ridisegna continuamente i contorni
del sé, mentre il pensiero della differenza, così come è stato
rielaborato, sembra risieda in una dimensione atemporale e per questo
non è in grado di leggere e trasformare adeguatamente la realtà.
Il secondo capitolo ha a che fare con la femminilizzazione vera e
propria del lavoro nell'ambito del capitalismo cognitivo. Si tratta di
uno scarto sostanziale, che porta ad un'inedita forma di schiavitù in
concomitanza con "lo smantellamento progressivo dello stato sociale".
Ecco che quindi "il nostro agire complessivo diventa, sempre più
vistosamente, un lavoro produttivo", per cui il tempo di lavoro e il
tempo di non lavoro non sono più distinguibili come nel passato e il
lavoro entra prepotentemente a far parte della nostra vita a tutti gli
effetti. Una possibile soluzione a questa empasse potrebbe essere, oltre
ad una riattivazione del welfare, il reddito di sussistenza, "forma
minima di riequilibrio economico di tutto ciò che ci viene chiesto di
spendere, quotidianamente, sul mercato del lavoro attuale".
Il terzo capitolo affronta la questione corpo, una questione che da
tempo sta al centro degli studi femministi e delle scienze sociali. A
questo proposito Morini individua una tensione fra l'apparire e
l'essere, non tanto nel senso classico del termine, ma quanto nel senso
di dover, al giorno d'oggi, interpretare un ruolo, "divenire personaggio
tutti e sempre". La relazione fra corpi e precarietà, fra produzione e
identità muta secondo nuovi dettami ed i corpi, in particolare, entrano a
pieno titolo a far parte della "dimensione produttiva". Di conseguenza
la questione legata all'erotismo e alla sessualità diviene strategica
per il mercato e porta alla quasi dissoluzione dei ruoli di prostituta o
non prostituta. Il corpo si fa merce e il biocapitalismo trasforma la
vita stessa delle persone e, in particolare, delle donne. Costola
fondamentale di questo discorso è il lavoro di cura non retribuito, un
lavoro che appartiene alle donne da secoli e che resta in qualche modo
la chiave di volta della situazione.
Il quarto capitolo indaga il rapporto alterato con il tempo, con la
costatazione che gli orari di lavoro sono in crescita e la qualità
stessa del lavoro si è trasformata e a iniziato ad includere la sfera
emozionale: "il lavoro emozionale coinvolge moltissimi settori, tutti
quelli che hanno come obiettivo la produzione non di beni materiali ma
di benessere". L'ultimo capitolo svela il trucco attuato dal capitalismo
e dalla femminilizzazione del lavoro: se un tempo ci si batteva per
portare più donne al lavoro, ora il lavoro delle donne, come il lavoro
di cura e il lavoro domestico, sono divenuti quasi dei paradigmi per il
biocapitalismo, "il modello della cura diviene allora una strategia di
governo della complessità (...). (...) si assiste alla generalizzazione
del codice della cura, la cui sintassi può uscire dalle case e proporsi
al mondo".
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