domenica 22 febbraio 2015
All the time
- Il problema non è essere grasse o magre! Il problema è cambiare taglia di continuo!
- È snervante e molto costoso!
- Mia cara, vita precaria significa anche peso "precario"!
sabato 7 febbraio 2015
Yes, of course!
Yes, of course! [Sì, ovviamente!]
- L'Università mi ha rinnovato il contratto. Insegnerò per un altro anno!
- Certo, mi hanno chiesto di lavorare gratis, ma...
- E tu che hai detto?
- Sì, ovviamente!
Per amore o per forza - Cristina Morini
Questa recensione è apparsa per la prima volta su Leggere Donna, n. 153, 2011.
Cristina Morini, Per amore o per forza - Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, Verona, ombre corte, 2010.
Quattro donnine di carta si tengono per mano sulla copertina del libro di Morini, un saggio fondamentale per capire come la precarietà abbia trasformato la vita delle donne e degli uomini e come da essa si possa iniziare ad uscire. Come sottolinea Judith Ravel nell'introduzione, la ricchezza del libro sta nella sua "dimensione d'inchiesta", che permette una visione radicata nella realtà odierna.
Queste donnine di carta sono paradigmatiche in quanto rappresentano una specie di paradigma della condizione lavorativa attuale, delle donne ma anche degli uomini. Infatti con il termine stesso di 'femminilizzazione', come ci dice l'autrice, "si intende non solo l'espansione quantitativa delle donne sul mercato del lavoro, ma anche la messa in produzione dell'attitudine alla relazione e alla cura, storicamente più marcate tra le donne, addestrate per secoli nel ruolo riproduttivo". Per esempio i lavori nei call centre richiedono quella predisposizione all'altro che culturalmente le donne sono educate a sviluppare, ma nei call centre non lavorano solo donne. Agli uomini è quindi richiesto di sviluppare quelle 'qualità' che un tempo venivano relegate alle donne. Il mercato del lavoro si sta trasformando e si sta attualizzando quello che Morini definisce come "un processo di soggettivazione del lavoro".
Lo studio si snoda su cinque capitoli, ognuno dei quali indaga un aspetto della questione. Nel primo si tratta della precarietà, di come essa abbia spazzato via ogni punto di riferimento e di come porti il soggetto a sperimentare un senso costante di transizione. Alla luce di questo discorso, Morini indaga inoltre i limiti del pensiero della differenza sessuale italiano, che ha forse impedito ad un certo femminismo di rapportarsi con questa realtà cangiante delle donne, "penso (…) che il problema principale, per le donne, sia quello di osservare i meccanismi del potere, nel tempo e nella storia". E ancora, "non è forse venuto il tempo che il femminismo si occupi anche dell'ordine sociale?" La precarietà ridisegna continuamente i contorni del sé, mentre il pensiero della differenza, così come è stato rielaborato, sembra risieda in una dimensione atemporale e per questo non è in grado di leggere e trasformare adeguatamente la realtà.
Il secondo capitolo ha a che fare con la femminilizzazione vera e propria del lavoro nell'ambito del capitalismo cognitivo. Si tratta di uno scarto sostanziale, che porta ad un'inedita forma di schiavitù in concomitanza con "lo smantellamento progressivo dello stato sociale". Ecco che quindi "il nostro agire complessivo diventa, sempre più vistosamente, un lavoro produttivo", per cui il tempo di lavoro e il tempo di non lavoro non sono più distinguibili come nel passato e il lavoro entra prepotentemente a far parte della nostra vita a tutti gli effetti. Una possibile soluzione a questa empasse potrebbe essere, oltre ad una riattivazione del welfare, il reddito di sussistenza, "forma minima di riequilibrio economico di tutto ciò che ci viene chiesto di spendere, quotidianamente, sul mercato del lavoro attuale".
Il terzo capitolo affronta la questione corpo, una questione che da tempo sta al centro degli studi femministi e delle scienze sociali. A questo proposito Morini individua una tensione fra l'apparire e l'essere, non tanto nel senso classico del termine, ma quanto nel senso di dover, al giorno d'oggi, interpretare un ruolo, "divenire personaggio tutti e sempre". La relazione fra corpi e precarietà, fra produzione e identità muta secondo nuovi dettami ed i corpi, in particolare, entrano a pieno titolo a far parte della "dimensione produttiva". Di conseguenza la questione legata all'erotismo e alla sessualità diviene strategica per il mercato e porta alla quasi dissoluzione dei ruoli di prostituta o non prostituta. Il corpo si fa merce e il biocapitalismo trasforma la vita stessa delle persone e, in particolare, delle donne. Costola fondamentale di questo discorso è il lavoro di cura non retribuito, un lavoro che appartiene alle donne da secoli e che resta in qualche modo la chiave di volta della situazione.
Il quarto capitolo indaga il rapporto alterato con il tempo, con la costatazione che gli orari di lavoro sono in crescita e la qualità stessa del lavoro si è trasformata e a iniziato ad includere la sfera emozionale: "il lavoro emozionale coinvolge moltissimi settori, tutti quelli che hanno come obiettivo la produzione non di beni materiali ma di benessere". L'ultimo capitolo svela il trucco attuato dal capitalismo e dalla femminilizzazione del lavoro: se un tempo ci si batteva per portare più donne al lavoro, ora il lavoro delle donne, come il lavoro di cura e il lavoro domestico, sono divenuti quasi dei paradigmi per il biocapitalismo, "il modello della cura diviene allora una strategia di governo della complessità (...). (...) si assiste alla generalizzazione del codice della cura, la cui sintassi può uscire dalle case e proporsi al mondo".
Cristina Morini, Per amore o per forza - Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, Verona, ombre corte, 2010.
Quattro donnine di carta si tengono per mano sulla copertina del libro di Morini, un saggio fondamentale per capire come la precarietà abbia trasformato la vita delle donne e degli uomini e come da essa si possa iniziare ad uscire. Come sottolinea Judith Ravel nell'introduzione, la ricchezza del libro sta nella sua "dimensione d'inchiesta", che permette una visione radicata nella realtà odierna.
Queste donnine di carta sono paradigmatiche in quanto rappresentano una specie di paradigma della condizione lavorativa attuale, delle donne ma anche degli uomini. Infatti con il termine stesso di 'femminilizzazione', come ci dice l'autrice, "si intende non solo l'espansione quantitativa delle donne sul mercato del lavoro, ma anche la messa in produzione dell'attitudine alla relazione e alla cura, storicamente più marcate tra le donne, addestrate per secoli nel ruolo riproduttivo". Per esempio i lavori nei call centre richiedono quella predisposizione all'altro che culturalmente le donne sono educate a sviluppare, ma nei call centre non lavorano solo donne. Agli uomini è quindi richiesto di sviluppare quelle 'qualità' che un tempo venivano relegate alle donne. Il mercato del lavoro si sta trasformando e si sta attualizzando quello che Morini definisce come "un processo di soggettivazione del lavoro".
Lo studio si snoda su cinque capitoli, ognuno dei quali indaga un aspetto della questione. Nel primo si tratta della precarietà, di come essa abbia spazzato via ogni punto di riferimento e di come porti il soggetto a sperimentare un senso costante di transizione. Alla luce di questo discorso, Morini indaga inoltre i limiti del pensiero della differenza sessuale italiano, che ha forse impedito ad un certo femminismo di rapportarsi con questa realtà cangiante delle donne, "penso (…) che il problema principale, per le donne, sia quello di osservare i meccanismi del potere, nel tempo e nella storia". E ancora, "non è forse venuto il tempo che il femminismo si occupi anche dell'ordine sociale?" La precarietà ridisegna continuamente i contorni del sé, mentre il pensiero della differenza, così come è stato rielaborato, sembra risieda in una dimensione atemporale e per questo non è in grado di leggere e trasformare adeguatamente la realtà.
Il secondo capitolo ha a che fare con la femminilizzazione vera e propria del lavoro nell'ambito del capitalismo cognitivo. Si tratta di uno scarto sostanziale, che porta ad un'inedita forma di schiavitù in concomitanza con "lo smantellamento progressivo dello stato sociale". Ecco che quindi "il nostro agire complessivo diventa, sempre più vistosamente, un lavoro produttivo", per cui il tempo di lavoro e il tempo di non lavoro non sono più distinguibili come nel passato e il lavoro entra prepotentemente a far parte della nostra vita a tutti gli effetti. Una possibile soluzione a questa empasse potrebbe essere, oltre ad una riattivazione del welfare, il reddito di sussistenza, "forma minima di riequilibrio economico di tutto ciò che ci viene chiesto di spendere, quotidianamente, sul mercato del lavoro attuale".
Il terzo capitolo affronta la questione corpo, una questione che da tempo sta al centro degli studi femministi e delle scienze sociali. A questo proposito Morini individua una tensione fra l'apparire e l'essere, non tanto nel senso classico del termine, ma quanto nel senso di dover, al giorno d'oggi, interpretare un ruolo, "divenire personaggio tutti e sempre". La relazione fra corpi e precarietà, fra produzione e identità muta secondo nuovi dettami ed i corpi, in particolare, entrano a pieno titolo a far parte della "dimensione produttiva". Di conseguenza la questione legata all'erotismo e alla sessualità diviene strategica per il mercato e porta alla quasi dissoluzione dei ruoli di prostituta o non prostituta. Il corpo si fa merce e il biocapitalismo trasforma la vita stessa delle persone e, in particolare, delle donne. Costola fondamentale di questo discorso è il lavoro di cura non retribuito, un lavoro che appartiene alle donne da secoli e che resta in qualche modo la chiave di volta della situazione.
Il quarto capitolo indaga il rapporto alterato con il tempo, con la costatazione che gli orari di lavoro sono in crescita e la qualità stessa del lavoro si è trasformata e a iniziato ad includere la sfera emozionale: "il lavoro emozionale coinvolge moltissimi settori, tutti quelli che hanno come obiettivo la produzione non di beni materiali ma di benessere". L'ultimo capitolo svela il trucco attuato dal capitalismo e dalla femminilizzazione del lavoro: se un tempo ci si batteva per portare più donne al lavoro, ora il lavoro delle donne, come il lavoro di cura e il lavoro domestico, sono divenuti quasi dei paradigmi per il biocapitalismo, "il modello della cura diviene allora una strategia di governo della complessità (...). (...) si assiste alla generalizzazione del codice della cura, la cui sintassi può uscire dalle case e proporsi al mondo".
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